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NINA di Elisa Fuksas

In Recensioni, Uncategorized on April 25, 2013 at 11:00 am

Alessandro Studer

NINA di Elisa Fuksas (Italia 2013 , durata 85’) con Diane Fleri, Ettore Mahieux, Luca Marinelli

E’ un film molto gradevole nella percezione audio-visiva, molto meno per quanto riguarda la trama o meglio in quella che io preferisco chiamare la “scansione filmica”. Noi non assistiamo a un tracciato narrativo, ma a una serie di situazioni-sequenze soprattutto visive  dove i dialoghi tendono spesso al surreale e hanno  una pura funzione sonora (come ad esempio la segreteria telefonica che, di fatto, svolge il ruolo della voce fuori campo,  che accompagna e spiega, ma non sempre, le immagini).  Ciò determina un forte aumento della polivalenza dei significati che ogni spettatore può dare a quello che vede, fino a non dargliene nessuno. Dopo la proiezione qualcuno ha detto: “E’ un film vuoto, senza significato..”

Qui dico la mia. La Fuksas pare che abbia lavorato attorno al progetto di questo film per otto anni (!). E’ quindi probabile che   ci sia una grossa componente autobiografica e per essere un’opera prima risulta complessa e, al di là delle prime impressioni, opera carica di significati e riferimenti impegnativi ai classici del cinema italiano.  E’ stato richiamato,  nella presentazione, il classico di Nanni  Moretti Bianca.,  ma non riesco a capire in che senso,  semmai è evidente il riferimento soprattutto a Caro diario pe l’uso della motoretta col casco con cui lei gira all’EUR (ma Nanni girava con la mitica vespa).

In verità io ci vedo in tutta evidenza un omaggio ad Antonioni e in modo specifico a uno dei suoi film più difficili  L’Eclisse (1962) per buona parte girato e ambientato all’EUR e ancora di più perché Monica Vitti (la Musa di Michelangelo Antonioni) ha in quel film molte assonanze con la nostra Nina. In breve ricordo che Antonioni, tra i grandi maestri del cinema, è il più ossessionato dall’architettura e l’EUR ha offerto anche a lui un perfetto set rappresentativo della incomunicabilità..

Ma parliamo in breve del film, come l’ho visto io e poi discusso con Agnese..

Non c’è dubbio che l’interesse maggiore sta nel fatto di essere un’opera visiva che fa prevalere il linguaggio delle immagini e  ciò volutamente  a danno di una trama che è praticamente inesistente e, altrettanto volutamente, confusiva. Con la scusa di aver girato il film in Agosto in una zona come l’EUR , in quel mese pressoché deserta, il percorso filmico si presenta come un racconto visivo-allucinatorio di una ragazza alla soglia dei 30 anni che si ritrova per varie ragioni a occuparsi di animali e in particolare di un cane (vecchio malato e forse cieco che non a caso viene chiamato Omero) per conto di un amico ricco ed eccentrico che, in vacanza, gli  lascia  la casa e il cane da curare.

Nina, la protagonista, è insegnante di canto (musica lirica), si occupa di Omero, si occupa di acquari di varie dimensioni, di uccelli in gabbia,   si mostra molto affettuosa  con criceti e in particolare con una  cavia di discrete dimensioni che prende in braccio e bacia. Di contro è impegnatissima come allieva  nello studio della lingua cinese scritta (ideogrammi) con un maestro sfacciatamente napoletano (interpretato da Ernesto Mahieux, il non dimenticato interprete de L’imbalsamatore di Matteo Garrone) che non si capisce bene se la prende in giro o se propone una macchietta napoletana del maestro di Karatè Kid.  C’è poi Ettore il bambino saggio di 11 anni che ha tutta l’aria di essere un “piccolo arabo”, forse figlio di un portinaio  che non c’è. Ettore si lascia adottare da Nina e   diventa il suo compagno fidato. Tutto questo s’intreccia con  fantasie ad occhi aperti, con inquadrature dell’urbanistica utopica ma fredda dell’EUR, con ricordi dell’infanzia e anche visioni immaginative piuttosto inquietanti.

Il film esce dalla dimensione esclusivamente visiva solo quando ci sono questi tre personaggi: il cane Omero, il maestro di scrittura cinese, il bambino: in tutti questi casi il tono veleggia sulle frequenze della commedia ironica…  E’ chiaro che  la regista ha utilizzato l’architettura e l’urbanistica stupefacente del quartiere voluto da Mussolini per  l’Esposizione Universale  Roma[1] (1942: ma completato ovviamente nel secondo Dopoguerra), per comunicarci i suoi vissuti, le sue ambizioni, la sua mancanza d’amore (e di sesso), la sua angoscia e il progetto di  prendere il volo per la Cina, e abbandonare tutto e tutti.

Il Palazzo della Civiltà  del Lavoro (chiamato anche Colosseo quadrato) che già da solo fa impressione solo a guardarlo è forse più protagonista del cane Omero. Ma sicuramente la regista dimostra una particolare abilità nel far parlare l’Architettura (anche quella d’interni) e forse una certa dimensione edipica non si può escludere, visto che qui l’architettura (quella dell’EUR si presta in particolare) potrebbe rappresentare bene una dimensione di freddezza e aridità e anaffettività che potrebbe riferirsi a un padre troppo imponente e poco affettuoso.  Il film è un continuo di bozzetti e sequenze mute che fanno pensare a tanti piccoli corti poi montati insieme ma,  ciò nonostante, il film non dà l’impressione di un assemblaggio alla meglio in sede di montaggio, anzi.

colquadrato.jpg

Figura 1 Palazzo della Civiltà del Lavoro al quartiere EUR,
costruito per l’Esposizione Universale del 1942,
mai avvenuta per motivi bellici (Colosseo quadrato o E42)

Pur girando letteralmente a vuoto, continuamente, piano piano, ci si accorge che, in sé e per sé, è una sorta di percorso auto-analitico che scioglie uno dopo l’altro tutti i nodi mentali della protagonista che, forse, dovrebbe chiamarsi  Elisa invece che Nina. Anche la golosità eccessiva per i dolci della protagonista, oltre al riferimento morettiano, rimanda alle carenze affettive.

I nodi sciolti non portano a nessuna conclusione ma a una presa di coscienza della propria incompiutezza e di isolamento. Le suore che si vedono sono, è vero, forse di tipo felliniano ma qui (non solo quelle oniriche  ma quelle reali della scuola di canto) si riferiscono a ricordi concreti di scuola, e forse anche al fatto che la protagonista è una specie di suora laica.

Anche qui a ben vedere e a ben ricordare c’è un bel paradosso: a parte le lagne ripetitive per impostare la voce quando la protagonista insegna: i pezzi lirici che ascoltiamo e vediamo (in particola un recital per voce sola) sono ben lontani dalla religiosità, domina Mozart con Le Nozze di Figaro e persino il Don Giovanni!

A proposito della psicoanalisi c’è anche  un gustosissimo e brevissimo siparietto della protagonista che si stende  sul lettino: vediamo alle sue spalle il “piccolo arabo” che è seduto su una sedia con un taccuino in mano e che chiede: “Allora, mi dica!”.

Ci sono,   soprattutto nella parte finale, dei momenti di pura arte che sono presentati in forma di sogno e che lasciano a bocca aperta (ma questo può essere un limite), vorrei soltanto citare “il maratoneta e il colonnato” e “il concerto delle ombre sullo sfondo di marmo, rigorosamente “travertino” e, guardate un po’,  “l’altro cane, giovane e allegro, che, con una palla di gomma in bocca, nuota in girotondo in una piscina” (quest’ultimo è un bel tormentone onirico o forse ricordo d’infanzia): mi dispiace,  ma queste sequenze non posso presentarle in altro modo, perché  non sono traducibili in  parole ma solo in titoli. Aggiungerei infine il tentativo di sconfiggere, ammazzare, annullare il monumento dell’arte metafisica Il terribile palazzo della Civiltà del Lavoro: con la fantasia e il sentimento Nina si diverte a impacchettare (alla Christo)  e sgretolare  in cartapesta (?)quel monumento che evidentemente le ricorda qualcosa di angoscioso che ha dentro.

Come tutti i film centrati sulle immagini,  è inevitabile  l’importanza della colonna sonora. Apprezzo molto, come ho detto,  il dominio del Mozart più provocatorio nelle parti liriche.

Non c’è che dire, ma questo film, come tanti altri, tutto coniugato al femminile ci fa ormai pensare che l’arte del futuro (cinema in primis) è donna.

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Figura 2 Palazzo dei Congressi all’EUR

 


 

Alessandro Studer


[1] Credo sia utile ricordare che E.U.R. è il grande quartiere-giardino monumentale che era stato progettato per volere del Ministro fascista Bottai, in omaggio al delirio di onnipotenza di Mussolini., per l’esposizione universale di Roma che doveva svolgersi nel 1942 Il progetto sotto la direzione di Marcello Piacentini prevedeva il contributo di un folto gruppo di architetti della scuola razionalista, tra i quali Terragni e Michelucci. La seconda Guerra mondiale ne ha impedito la realizzazione nel senso imperial-romano. Completato nel Dopoguerra con l’inserimento di altri architetti, oggi è un quartiere ultramoderno e spettacolare che contiene però vari monumenti di ispirazione futurista e metafisica (cioè con riferimenti alla pittura di De Chirico): quello più famoso è il cosiddetto “colosseo quadrato”.

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